Maria Schiazza: una vita per l'educazione e la giustizia sociale
Nel difficile 1926 abruzzese, mentre la gente lavorava duro e le famiglie stringevano i denti, nacque a Roseto degli Abruzzi Maria Schiazza, una "figlia del popolo" che fin dall'inizio dimostrò di guardare il mondo con occhi diversi dagli altri.

La maestra Frisaldi fu la prima a riconoscere in quella piccola alunna una fame di sapere fuori dal comune: le parole scorrevano naturali sotto la sua penna e i numeri si allineavano ordinati nei suoi quaderni, tanto che nel '37 ottenne brillantemente la licenza elementare.
Ma quello era solo l'inizio del suo percorso.
"Diventerà una brava sarta", dicevano tutti quando la signora Giacinta Verrigni la prese sotto la sua ala protettrice.
Le sue dita impararono presto a danzare con ago e filo, eppure i suoi occhi continuavano a cercare i libri, mentre il suo cuore batteva per qualcosa di più grande.
La stessa Verrigni ebbe a dire di lei: "Era paziente e intelligente, ma soprattutto era determinata".
Nemmeno quando la guerra arrivò come un tuono a spezzare l'Italia, il sogno di Maria si infranse.
L'italiano e la filosofia divennero il suo pane quotidiano.
Intorno a lei Roseto stava cambiando: i ricchi diventavano più ricchi e i poveri restavano poveri.
Lei osservava, imparava e si preparava al suo futuro.
La svolta arrivò nel '51 con la vittoria del concorso e l'assegnazione alle aule di Fontanelle di Atri.
Giovane, preparata e diversa da tutti gli altri insegnanti, conquistò subito i suoi alunni perché non era solo una maestra, ma una persona che sapeva ascoltare, vedere e capire, trasformando ogni lezione in un pezzo di vita vera.
La sua casa in via Paolo Veronese divenne presto un punto di riferimento per tutti, con le porte sempre aperte come quelle di una chiesa o di un porto sicuro.
Nelle sere d'inverno le note del suo pianoforte risuonavano per la via.
Nei pomeriggi estivi, mentre le mattonelle che dipingeva asciugavano al sole, le sue mani pazienti creavano ricami che diventavano strumenti per insegnare.
I pescatori la vedevano spesso nuotare all'alba, quando si spingeva lontano per tornare carica di storie di mare e di vita da raccontare ai suoi bambini.
La sua passione per la natura la portava anche in montagna, sul suo amato Gran Sasso, dove trascorse l'ultima vacanza ai Prati di Tivo ridendo con i ragazzi della parrocchia, prima che la malattia bussasse alla sua porta.
La visita a Ponte Lambro segnò una svolta decisiva nella sua vita: lì scoprì un istituto dove i bambini "difficili" trovavano la loro strada attraverso un percorso di vera rinascita, non di semplice assistenza.
Collaborando con padre Serafino Colangeli, riuscì a trasformare quel sogno in realtà a Giulianova, dove nacque l'Istituto medico psico-pedagogico, poi divenuto "Piccola Opera Charitas".
Come presidente dell'ECA (ente comunale di assistenza), trasformò un semplice incarico in una vera missione: senza guardare tessere di partito o chiedere opinioni politiche, vedeva solo persone con i loro bisogni e le loro speranze.
La sua gestione, improntata all'efficienza, alla giustizia e all'amore, divenne un punto di riferimento per tutte le famiglie rosetane che sapevano di poter contare sempre su di lei.
L'Azione Cattolica e la fede rappresentavano per Maria non una teoria, ma una pratica quotidiana di servizio e di vita.
Continuò a insegnare catechismo con la stessa passione, dedizione e gioia che metteva in ogni cosa, persino quando la malattia la costrinse su una sedia a rotelle.
Nell'82, mentre la malattia si faceva più aggressiva, il suo sorriso non si spense mai.
Il giornalista Luigi Braccili, che la visitò in quel periodo, trovò una donna serena che continuava a essere maestra fino all'ultimo respiro. "Fu la sua ultima lezione", scrisse, "la più importante: ci insegnò come si muore con dignità, fede e speranza".
Oggi il suo nome sui muri della scuola di via Paolo Veronese non è una semplice targa, ma un testimone che continua a passare di mano in mano.
I suoi metodi erano rivoluzionari per l'epoca: parlava di empatia quando gli altri si concentravano sulla disciplina, di recupero quando si parlava di esclusione, di amore quando tutti pensavano solo alle regole.
Maria Schiazza non ha lasciato libri scritti, ma ha lasciato un'impronta indelebile nelle vite delle persone che ha incontrato.
Non ha cercato la fama, ma i risultati. Non gli onori, ma il cambiamento reale.
Il suo messaggio era semplice, ma potente: amare gli altri, ascoltarli, accoglierli.
In una Roseto e in un'Italia profondamente cambiate, i bambini hanno ancora bisogno di insegnanti come lei, di porte sempre aperte e di cuori sempre pronti.
La sua storia continua a vivere in ogni classe dove un insegnante sa vedere le possibilità nascoste in ogni bambino, in ogni porta che si apre, in ogni mano che si tende verso l'altro.
Maria Schiazza ha lasciato un'eredità di valori, passione e amore che continua a cambiare il mondo, un bambino alla volta.
* Le notizie storiche presenti in questo articolo sono state tratte dal libro "Ritratti e protagonisti nella storia della nostra città. Roseto degli Abruzzi 1860 - 2010 - Arnaldo Giunco (profilo a cura di Maria Pia Di Nicola)