L'arbitro Pasquale Zeppillo e quel canestro fantasma a Livorno
C'è un momento nella storia dello sport che va oltre il cronometro, un istante sospeso in cui il destino si ferma, trattiene il fiato. Per Pasquale Zeppillo (all'epoca Zeppilli, complice un errore all'anagrafe), quell'istante è il 28 maggio 1989, al PalaMacchia di Livorno, durante gara 5 della finale scudetto tra Enichem Livorno e Philips Milano.

di Daniele Vallonchini e Lorenzo Mazzocchetti
La sirena, un canestro e poi il caos.
Per chi c’era fu come vivere un film al rallentatore, per chi non c’era è una storia che merita di essere raccontata.
Pasquale, arbitro di quella partita, lo ricorda come fosse ieri: lui, con il fischietto tra le labbra, immerso in un'atmosfera carica di tensione.
Quella sera il PalaMacchia era una bolgia.
Cinquemila tifosi livornesi, sponda Libertas, urlavano come un mare in tempesta per spingere l’Enichem al primo, storico, scudetto.
Dall’altra parte Milano, la corazzata invincibile, la squadra dei titani del basket D’Antoni, Premier, Meneghin e McAdoo.
La partita scorre via tra colpi di classe e nervi a fior di pelle.
Fino a quel momento, a pochi secondi sul cronometro, Livorno è sotto di uno.
Poi il suono della sirena e la palla della vittoria livornese che si infila nella retina.
Esplosione di gioia del pubblico locale e invasione di campo, ma...
L'ex arbitro Pasquale Zeppillo, oggi dirigente delle Panthers Roseto, intervistato da Daniele Vallonchini
Pasquale, cosa accadde immediatamente dopo il fischio finale?
Ricordo ogni istante con una chiarezza cristallina. Appena fischiato il finale di gara, due addetti alla sicurezza mi presero letteralmente per le braccia e mi portarono negli spogliatoi. Avevo già visto alcuni giocatori della Philips Milano imboccare di corsa il tunnel, consapevoli del mio gesto di annullamento del canestro.
E una volta rientrato nello spogliatoio?
Nello spogliatoio ero con l'addetto agli arbitri e attendevo il mio collega (Francesco Grotti ndr), rimasto bloccato sul campo dopo l'invasione del pubblico. Quando finalmente arrivò, mi guardò incredulo: "Pasquale, ma che ca**o è successo?". Era stupito. Posizionato a fondo campo, aveva convalidato il canestro e assegnato il fallo su Andrea Forti con conseguente tiro libero aggiuntivo. Io, invece, ero certo del contrario.
Come riuscisti a convincerlo?
Gli dissi: "France', te lo giuro sulla testa di mio padre buonanima, quel canestro era fuori tempo massimo. Ho sentito distintamente la sirena prima che Forti rilasciasse la palla". Il mio collega e amico mi fissò intensamente per un istante, cercando la verità nei miei occhi, poi annuì lentamente, fidandosi della mia valutazione e condividendola.
Cosa accadde dopo quel momento chiarificatore?
La tensione era palpabile. Presto iniziarono ad arrivare i dirigenti delle due squadre e il commissario di campo. Ricordo Kevin Restani, vice allenatore di Livorno, con la camicia strappata dopo essere intervenuto per proteggere Roberto Premier dall'aggressione dei tifosi livornesi. La scena era surreale.
Quando comunicasti l'esito ufficiale di quella partita?
Dopo quindici interminabili minuti, comunicai la decisione ufficiale alle due società: il canestro era annullato e Milano era campione d'Italia. La confusione era tale che persino i telegiornali riportarono notizie discordanti.
Il TG1 dichiarò Livorno campione, mentre il TG2 rettificò poco dopo.
Fummo costretti ad uscire dal palasport a bordo di un furgone della Polizia, mentre alcuni tifosi locali, inferociti, ci insultavano lanciandoci contro di tutto.
Quella notte, durante "La Domenica Sportiva", vennero esaminati alla moviola gli ultimi secondi della partita, confermando che la mia decisione era esatta per pochi "frame".
Hai più incontrato qualche protagonista di quella finale scudetto?
Due mesi dopo, mi trovai per caso a Rimini e in un ristorante incontrai Alberto Bucci. Un uomo diretto che, appena mi vide, mi chiamò: "Pasquale, vieni qui". Ci sedemmo a parlare, come due persone che avevano condiviso qualcosa di grande, anche se da lati opposti.
Cosa ti disse il coach di Livorno?
"Sai", mi disse, "ho un cruccio. Non sono riuscito a venirti incontro dopo la sirena finale, a insinuare almeno un dubbio dentro di te". Lo guardai sorpreso: "Un dubbio su cosa?". Sospirò: "Quella partita era la quinta. La prima finale scudetto per Livorno. Sai cosa significava per noi? Mi sono sentito defraudato. Come se mi fosse stato tolto qualcosa di molto importante, qualcosa che aspettavo da una vita".
Come reagisti a quelle parole?
Lo ascoltai in silenzio. Poi, con calma, risposi: "Alberto, non posso entrare nei tuoi sentimenti, sappi comunque che li rispetto. Ma se pensi che sia venuto a Livorno con l'idea di favorire qualcuno, ti sbagli di grosso. Sono partito da Roseto con un solo pensiero: applicare il regolamento. Non potevo farmi condizionare dal punteggio, dall'atmosfera e dai colori. Dovevo stare lì, in mezzo al campo, e fare il mio lavoro nel migliore dei modi. Né più, né meno".
Come si concluse quel confronto?
Alberto mi guardò fisso negli occhi, come cercando qualcosa. Poi fece un cenno con la testa, quasi un segno di pace. Era un momento di comprensione. Non c'era più tensione, solo due uomini che avevano vissuto lo stesso evento da prospettive diverse.
Hai mantenuto buoni rapporti con altri protagonisti di quella finale epica?
Sono rimasto in ottimi rapporti con Andrea Forti, il giocatore a cui annullai quel canestro decisivo. Diventato un procuratore sportivo di successo, mi ha persino aiutato quando ero dirigente della squadra di basket di serie B a Roseto, consentendomi di ingaggiare due validi ragazzi di Livorno. Ancora oggi ci sentiamo spesso, parliamo di sport e di vita.
Ci furono altri episodi significativi dopo quella partita?
Due anni dopo, fui designato per arbitrare un'incontro a Livorno, insieme ad un esordiente. Visitando Castiglioncello, notai un muro dove i tifosi della Libertas avevano scritto "Zeppilli pezzo di m...!". Sopra la scritta, i rivali della Pielle avevano aggiunto "Grazie Zeppilli!". La partita che arbitrai non contava ai fini della classifica: Livorno era già qualificata per i playoff, Napoli era ormai salva.
Come reagì il pubblico di casa al tuo ingresso sul campo di gioco?
Appena entrato in campo, il pubblico livornese iniziò a fischiare, andando avanti per venti minuti. Durante la partita, a un secondo dalla fine, un americano del Napoli tirò a canestro: la palla rimbalzò sul ferro e uscì. Il giorno dopo i giornali locali titolarono: "La sindrome di Zeppilli colpisce ancora".
Qual è il tuo messaggio per i giovani arbitri?
Oggi, dopo aver concluso la mia carriera arbitrale, vorrei trasmettere ai giovani arbitri il senso del gioco e del rispetto. Vedo troppi ragazzi in campo senza un adeguato bagaglio tecnico. Arbitrare significa innanzitutto saper comunicare, farsi rispettare senza ricorrere subito ai falli tecnici. Come diceva Ninì Ardito: "Se dai due tecnici a qualcuno, significa che hai perso il controllo".
Qual è la tua filosofia personale sull'arbitraggio?
Bisogna ricordare che arbitri, giocatori e allenatori fanno parte dello stesso sistema: tutti devono collaborare per valorizzare il gioco. Non siamo avversari. Un arbitro deve mantenere il sangue freddo, fidarsi delle proprie sensazioni e seguire il regolamento. Fare l'arbitro non è facile, richiede impegno, rispetto e passione per lo sport. Alla fine, il gioco è ciò che conta davvero.
Grazie "don Pasquale", orgoglio rosetano: con la tua integrità e la tua passione per il basket hai lasciato un segno indelebile nella storia dello sport italiano.
Il videoracconto di gara 5 della finale scudetto del 1989 tra Enichem Livorno e Philips Milano