Senza pensarci due volte, ci procurammo qualche tavola di legno presso un cantiere vicino.
Ora che ci penso, fu una sorta di esproprio proletario.
Nessuno ci disse nulla, anzi, gli adulti sembravano apprezzare la nostra intraprendenza.
Con una sega, un martello, dei chiodi e una corda (che doveva fungere da "ascensore" per la nostra futura reggia tra i rami), ci mettemmo all'opera.
Iniziammo a costruire verso le 21, subito dopo cena.
Scegliemmo il pino che ci sembrava più robusto, con i rami perfetti per sostenere la nostra piattaforma.
Lavorammo fino a mezzanotte, segando, martellando, ridendo e sognando ad occhi aperti.
Nessun adulto ci fermò o si preoccupò di vederci maneggiare attrezzi o arrampicarci sull'albero nel buio della notte.
Oggi, ripensando a quell'avventura, non posso fare a meno di sorridere e, allo stesso tempo, di provare un po' di malinconia.
Quei pini non ci sono più e la piazza è stata completamente pedonalizzata.
Dove una volta giocavamo a calcio schivando le auto parcheggiate, ora c'è un'area "sicura" per i bambini.
Mi chiedo cosa succederebbe se dei ragazzini provassero a fare qualcosa di simile oggi.
Probabilmente scatterebbe un allarme generale: Vigili del Fuoco, ambulanza, Carabinieri, forse persino l'Esercito!
L'idea di giovincelli che costruiscono liberamente, usando attrezzi veri, lavorando fino a tarda notte in uno spazio pubblico, sembra quasi fantascienza nella realtà odierna.
All'epoca vivevamo con una spensieratezza che oggi sembra soltanto un lontano ricordo.
Ci sbucciavamo le ginocchia e correvamo rischi che oggi farebbero inorridire qualsiasi genitore.
Non era una questione di incoscienza, era semplicemente il nostro modo di crescere, di sperimentare, di vivere.
Certo, alcune cose sono migliorate.
La sicurezza è importante, e non voglio certo tornare a un'epoca in cui si rischiava la vita per una banale caduta dal motorino.
Ma mi chiedo se, nel nostro zelo di proteggere i bambini da ogni pericolo, non stiamo anche privandoli di esperienze formative, di quella libertà che ci ha permesso di diventare adulti responsabili e creativi.
La nostra casa sull'albero non era solo una struttura di legno.
Era un simbolo della nostra indipendenza, della nostra capacità di trasformare un'idea in realtà, di lavorare insieme verso un obiettivo comune.
Era un rifugio dove potevamo essere noi stessi, lontani dagli occhi degli adulti, dove potevamo sognare e immaginare il futuro.
Oggi guardo i bambini con i loro smartphone e tablet: sempre connessi, ma paradossalmente isolati.
Mi chiedo se non stiano perdendo qualcosa di prezioso.
La gioia di costruire con le proprie mani, il brivido di una piccola avventura, la soddisfazione di creare qualcosa dal nulla.
Non pretendo di cambiare il mondo in cui viviamo, ma posso raccontare queste storie.
Forse, in qualche modo, ispireranno una nuova generazione a cercare quel giusto equilibrio tra sicurezza e libertà, tra protezione ed esplorazione.
Perché, alla fine, sono queste esperienze che ci formano, che ci insegnano ad affrontare il mondo con coraggio e creatività.
Chissà, magari un giorno vedrò di nuovo dei ragazzini armati di martello e chiodi in piazza.
No, non chiamerò i Carabinieri.
Sorriderò ricordando quella notte d'estate in cui un gruppo di amici decise di toccare il cielo con un dito, costruendo una casa tra i rami di un vecchio pino.