Il paradosso del benessere: quando le difficoltà erano una scuola di vita
"Si stava meglio quando si stava peggio", quante volte l'abbiamo sentito dire dai nostri anziani? Ma c'è un detto, tutto rosetano, che va oltre: "Per stare meglio, si stava peggio. E qui giace". Questa variante locale nasconde una verità più profonda del semplice rimpianto dei tempi andati.

Il "peggio" di una volta era un maestro di vita severo, ma prezioso.
La fame insegnava a non sprecare nemmeno una briciola, trasformando un pezzo di pane in un tesoro da assaporare con gratitudine.
Le necessità quotidiane stimolavano l'ingegno: da un vecchio maglione nasceva una coperta, da quattro assi di legno una sedia.
Le difficoltà costringevano a fidarsi del vicino, a chiedere aiuto, a ricambiare i favori.
Le porte di casa restavano aperte, il caffè era sempre pronto per chi bussava.
Quel "peggio" univa le persone in una rete di solidarietà spontanea, genuina, necessaria per la sopravvivenza.
Il freddo rendeva speciale il calore di una stufa accesa e la stanchezza della giornata faceva sembrare un giaciglio di foglie più soffice di un letto di hotel.
Era una vita che insegnava ad apprezzare ogni piccola conquista, ogni momento di gioia.
Quel "E qui giace" finale risuona come un monito duplice: non solo ci ricorda che quella saggezza antica sta scomparendo, ma ci sussurra anche la fragilità della nostra esistenza.
È come se ci dicesse: "Tutto passa, anche noi passeremo. E allora, che senso ha accumulare comfort se perdiamo la capacità di gustare la vita?".
La sfida del nostro tempo diventa quindi più profonda: non si tratta solo di conservare le lezioni del "peggio" mentre godiamo del "meglio", ma di riscoprire un'arte del vivere che dia senso ai nostri giorni.
Quel "E qui giace" ci ricorda costantemente che siamo tutti di passaggio e che forse la vera ricchezza sta nel saper trasformare ogni momento, bello o brutto che sia, in un'occasione per crescere, per condividere, per lasciare qualcosa di buono a chi verrà dopo di noi.
In questo senso, il vecchio detto non parla solo di un passato che non c'è più, ma diventa una chiave per leggere il presente e costruire un futuro più consapevole.
Perché, alla fine, non è tanto questione di stare meglio o peggio, ma di saper vivere pienamente il tempo che ci è stato donato.