Gabriele Matricciani, il calcio vissuto con il cuore e il piede mancino

Dai campetti di Roseto alle competizioni nazionali, il racconto di una carriera costellata di emozioni, vivendo il calcio da protagonista sia come giocatore che come allenatore.

2 Marzo 2025 - 14:20
12 Marzo 2025 - 16:29
Gabriele Matricciani, il calcio vissuto con il cuore e il piede mancino
Il rosetano Gabriele Matricciani, ex calciatore e allenatore

Gabriele, come ha avuto inizio la tua avventura nel mondo del calcio?

Ho iniziato a giocare da bambino nei campetti di Roseto, nella zona della cosiddetta "Corea". Il nostro punto di riferimento era il "campo dei preti", dove trascorrevamo interi pomeriggi tra calcio, pallavolo e basket. A quei tempi, non esistevano le scuole calcio come oggi. Si imparava sul campo, giocando con i ragazzi più grandi. Ricordo che Padre Dante, un prete bresciano che educava i giovani dell'oratorio Piamarta, giocava con noi e ci dribblava nascondendo la palla sotto la tonaca per farci divertire.

Gabriele Matricciani, con gli amici di sempre, al "campo dei preti"

Chi è stato il tuo primo allenatore e che ruolo ha avuto nella tua crescita?

Il mio primo allenatore è stato Dino Celommi, una figura storica di Roseto. Era un maestro di scuola e un grande appassionato di calcio che si dedicava ai giovani con passione. Mi scoprì e mi fece crescere come giocatore. Ricordo che era sempre presente al campo, persino rinunciando al pranzo.

Gabriele Matricciani, passione e dedizione

Che ruolo ha avuto tuo padre nella scelta di giocare a calcio?

Inizialmente, mio padre era molto preoccupato e riteneva che il calcio potesse interferire con l'attività di famiglia, poichè voleva che restassi a lavorare lì. Col tempo, però, vedendo la mia passione e il mio impegno crescere giorno dopo giorno, comprese che il calcio faceva ormai parte della mia vita. Una volta, per giocare una finale a Pineto, mi nascosi sotto il letto dei miei genitori mentre ancora dormivano. Quella mattina, mio padre voleva che andassi a lavorare con lui in magazzino. Ricordo che i miei genitori, una volta svegli, mi cercarono per una buona mezz'ora. Quando mio padre, finalmente, andò al lavoro, uscii dal mio nascondiglio e tranquillizzai mia madre dicendole che mi ero svegliato presto per andare a sbrigare una faccenda. Presi il borsone a andai al campo insieme a un amico che già guidava. Segnai il gol della vittoria, ma quella sera mi beccai due sonori scapaccioni!

Ricordi la tua prima esperienza in prima squadra?

Ricordo ancora con grande emozione la mia prima partita in promozione, giocata a 16 anni. Ero abituato a segnare nei tornei giovanili, ma in prima squadra mi resi subito conto della difficoltà di fronteggiare difensori esperti. Quella partita fu molto formativa per me.

Come è avvenuto il tuo trasferimento al Modena?

Dopo un buon campionato, fui convocato nella rappresentativa abruzzese per un torneo a Roma. Lì iniziarono a notarmi diversi osservatori. Giocavo a Teramo, in serie D, e il Modena mi seguiva con interesse. Dopo varie trattative, il trasferimento si concretizzò. Ricordo ancora Costagliola, ex portiere della Fiorentina negli anni '50, che mi disse: “Ti vogliono, preparati!”

Gabriele Matricciani al Modena (il terzo, in piedi, da destra)

Come è stato il salto dalla Serie D alla Serie B?

Quando arrivai al Modena, la squadra retrocesse in C e giocai in terza serie. Furono cinque anni intensi, durante i quali lavorammo duramente per riportare il club in categorie superiori. Alla fine, vincemmo il campionato e tornammo in serie B. Ricordo il mio primo anno, quando mi schierarono come terzino sinistro per un’amichevole: da lì, il mio ruolo fu definito.

Gabriele Matricciani, terzino "fluidificante" a Modena

Qual è stato il momento più bello della tua carriera da giocatore?

La promozione con il Modena in serie B è stato sicuramente il momento più bello. Quella stagione fu straordinaria e segnai anche cinque gol da terzino. Sono mancino e l'allenatore mi faceva giocare sulla fascia sinistra.

Il momento più bello!

Dopo l’esperienza da calciatore, cosa ti ha spinto ad allenare?

Allenare è stata per me una scelta naturale per restituire al calcio ciò che mi aveva dato. Volevo trasmettere ad altri non solo tecnica e tattica, ma anche valori come disciplina, sacrificio e spirito di squadra. Il mio obiettivo è sempre stato aiutare i giocatori a crescere, sia sul campo che nella mentalità.

Gabriele Matricciani in serie A al Palermo (da sinistra: Diana, l'attore Claudio Gioè, Guana, Matricciani)

Quali squadre hai allenato nella tua carriera?

Ho iniziato la mia carriera da allenatore in Abruzzo, guidando Rosetana, Pineto e Avezzano. Nelle Marche ho allenato Monturanese, Montegranaro, Civitanovese, Stella di Monsampolo e Sambenedettese, vivendo esperienze intense e ricche di soddisfazioni. In Sicilia ho allenato il Catania e il Palermo, confrontandomi con un calcio molto passionale e con tifoserie calorose.
Ho avuto anche l’opportunità di lavorare nella prima squadra del Perugia del presidente Luciano Gaucci, dove ho vissuto la strana esperienza di allenare Saadi Gheddafi, figlio dell’ex leader libico. Era sempre seguito da un manipolo di guardie del corpo, sia dentro che fuori dal campo. Un altro momento importante è stato il mio periodo all’Atalanta, dove ho collaborato con Stefano Colantuono, condividendo la stessa visione del calcio e l’attenzione alla disciplina. Inoltre, ho fatto esperienza anche a Torino, arricchendo il mio bagaglio tecnico e tattico.

Gabriele Matricciani in serie A all'Atalanta (il quinto seduto da destra).
II terzo in alto, da sinistra, è il famoso centravanti della Nazionale Bobo Vieri.

Come era allenare rispetto a giocare?

Allenare è diverso dal giocare. Serve saper gestire il gruppo, conoscere ogni giocatore, adattare le tattiche e trasmetterei giusti valori. È una grande responsabilità, ma anche una fonte di grande soddisfazione.

Gabriele Matricciani al Torino, in serie B

Come vedi il calcio di oggi rispetto a quello dei tuoi tempi?

Il calcio è molto cambiato. Oggi c’è più tattica, più fisicità e meno improvvisazione. Ai miei tempi si giocava per passione, con minori pressioni. C’erano meno tecnologia e marketing, ma più istinto e cuore.

Che consiglio daresti ai giovani che vogliono intraprendere la carriera calcistica?

Lavorate duro e non arrendetevi mai. La dedizione e il sacrificio fanno la differenza. Il talento è importante, ma senza disciplina e umiltà non si arriva lontano. Soprattutto, divertitevi perchè il calcio è passione!

Daniele Vallonchini Si distingue per la sua capacità di analisi degli eventi sportivi. È stato corrispondente per testate giornalistiche nazionali di rilievo. Sa condurre interviste incisive con atleti e dirigenti, riuscendo sempre a cogliere dettagli interessanti. La sua passione per lo sport e la sua vasta conoscenza in diversi ambiti sportivi sono una vera e propria garanzia per i lettori di Roseto24.it!