Dante D'Alessandro, il mito delle bocce. Successi, sacrifici e una carriera senza tempo

Ha scritto la storia delle bocce con 15 titoli mondiali, un record di 86 vittorie consecutive e una carriera che ancora oggi, a 74 anni, non conosce la parola fine. Dante non è solo un campione, ma un simbolo di dedizione, passione e sacrificio. In questa intervista, ripercorre i suoi successi più grandi, le sconfitte che lo hanno segnato e l’amore per uno sport che continua a essere il centro della sua vita.

11 Marzo 2025 - 16:38
14 Marzo 2025 - 08:05
Dante D'Alessandro, il mito delle bocce. Successi, sacrifici e una carriera senza tempo
Il pluricampione mondiale di bocce Dante D'Alessandro

Dante, quali sono stati i momenti più significativi della tua carriera nelle bocce e quali vittorie ricordi con maggiore emozione?

Ho vissuto tante emozioni straordinarie, ma il primo titolo mondiale del 1983, in Svizzera, è quello che porto più nel cuore. Era la prima uscita della Federazione unificata e vincere tre ori (individuale, a squadre e a terne) è stato un sogno. Poi c’è il titolo italiano individuale del 1984, vinto a Pesaro davanti a 5.000 persone: un’atmosfera incredibile! E non posso dimenticare il 1989, il Mondiale vinto con Scacchioli, Bagnoli e Mussini. Ogni vittoria ha una sua storia, ma questi momenti sono stati davvero speciali.

Come descriveresti il tuo approccio all'allenamento fisico che, già negli anni '70, ti ha fatto capire l'importanza di prepararsi anche fuori dal campo?

Negli anni ’70 la preparazione atletica nelle bocce non era un tema di discussione, ma io mi resi conto che avrebbe potuto essere una chiave per migliorare le prestazioni. Nel 1978, spinto dalla curiosità, andai ad assistere agli allenamenti del Roseto Basket e capii subito che il lavoro fisico poteva fare la differenza anche nel nostro sport. Così iniziai ad allenarmi con esercizi mirati per migliorare resistenza, forza e precisione. In cinque mesi passai da puntista a bocciatore, con un evidente salto di qualità.

La tua carriera da campione è quindi iniziata nel 1983, giusto?

Si, nel 1983, in Svizzera. Vincere tre medaglie d’oro fu qualcosa di eccezionale. Mi mancò solo il titolo di coppia, ma solo perché si giocava in contemporanea con un’altra gara. Fu la mia consacrazione a livello internazionale. Improvvisamente, capii che potevo stare al vertice del mondo bocciofilo.

Nel 1985 hai ottenuto un record straordinario con 86 vittorie consecutive. Come hai vissuto quel periodo di successi eccezionali?

Ero in una forma straordinaria, sia mentalmente che fisicamente. Scendevo in campo con la consapevolezza di poter vincere ogni partita. Ogni gara vinta mi caricava per la successiva, ero inarrestabile. Quando, finalmente, arrivò la sconfitta, il mio compagno Renato Scacchioli mi guardò e disse: “Meno male, era ora!”. È stato un record incredibile, ma non ho mai giocato per le statistiche, solo per la voglia di vincere e migliorarmi.

Parlaci di quella sconfitta nella finale per il titolo italiano individuale del 1983. In che modo quell’esperienza ti ha influenzato, trasformandosi in una lezione che non hai mai dimenticato?

Ancora oggi mi brucia. Ero in vantaggio 10 a 4 e avrei potuto chiudere con un punto semplice, ma il pubblico iniziò a incitarmi a tirare al pallino. Ho ascoltato la folla e ho sbagliato. Mi tremavano le gambe e ho avuto un calo di concentrazione. Alla fine, ho perso la partita 15 a 14. È stata una lezione durissima, ma mi ha insegnato a non farmi mai condizionare dall’esterno. Da quel giorno, ho sempre giocato con la mia testa.

A distanza di anni, come vedi la tua carriera e il tuo percorso nelle bocce, considerando anche le sfide che hai affrontato e superato?

Sono fiero di quello che ho fatto. Ho dato tutto per questo sport e sono riuscito a portare in alto il nome delle bocce italiane. Certo, ci sono stati momenti difficili, come quando sono rimasto fuori dalla Federazione, ma ho sempre trovato il modo di andare avanti. Ho vinto tanto, ho contribuito alla crescita del movimento e oggi, a 74 anni, sono ancora qui a giocare. Credo di aver lasciato un segno importante.

Nel 1996 hai ricevuto il Collare d'Oro dal Presidente della Repubblica, un onore che pochi atleti possono vantare. Che emozione hai provato in quell'occasione?

Una gioia immensa! Essere ricevuto al Quirinale da Oscar Luigi Scalfaro e ricevere il massimo riconoscimento sportivo italiano è stato qualcosa di incredibile. Pochi atleti possono vantare un simile onore e io, un giocatore di bocce, ero lì a rappresentare il nostro sport. È stato uno dei momenti più belli della mia vita, soprattutto considerando che sono l’unico atleta a cui il riconoscimento è stato assegnato per il numero di Mondiali vinti. Il premio, infatti, è riservato ai vincitori di titoli olimpici, e le bocce non sono una disciplina olimpica. Hanno fatto un’eccezione esclusivamente per me!

Cosa significa per te, a 74 anni, essere ancora attivo in Serie A con la Capriotti Mosciano? Come affronti questa nuova fase della tua carriera?

Significa che la passione è più forte dell’età. Non posso stare senza bocce, è il mio mondo. Alla Capriotti Mosciano non sono un titolare fisso, ma quando serve do il mio contributo e metto la mia esperienza a disposizione della squadra. Giocare ancora in Serie A è una soddisfazione enorme e, soprattutto, mi diverto ancora tantissimo.

Cosa ti ha spinto, nel 2008, a smettere di giocare a livello competitivo? Cosa ti ha motivato a rimanere comunque coinvolto nel mondo delle bocce attraverso il tuo lavoro in Federazione?

Dopo tanti anni in campo, sentivo che era il momento di passare il testimone. Ma non potevo abbandonare del tutto le bocce, così ho accettato il ruolo di responsabile delle squadre nazionali. Sono stati anni straordinari, nei quali ho cercato di trasmettere la mia mentalità vincente ai giovani. In otto anni abbiamo vinto più medaglie che mai, segno che il lavoro fatto è stato di qualità. È stata una nuova sfida e sono felice di averla affrontata.

Guardando indietro alla tua carriera e alla tua vita, quali sono le soddisfazioni più belle e i principali rimpianti che ti porti dentro?

Le soddisfazioni sono tantissime, perché ho fatto la storia di questo sport. Ma i rimpianti ci sono. Ho sacrificato tanto tempo alla famiglia e ho perso momenti importanti con le mie figlie. Usavo le ferie per giocare tornei e oggi mi dispiace non aver vissuto di più la loro crescita. Ora cerco di recuperare con i miei nipoti. Un altro rimpianto è il fatto che la mia città, Roseto, non mi abbia mai riconosciuto davvero per quello che ho fatto. Alla fine, però, ciò che conta è il segno che ho lasciato nello sport e nelle persone che ho allenato. E questa è una soddisfazione che nessuno potrà mai togliermi. Mi manca anche il non aver potuto partecipare alle Olimpiadi in quanto il gioco delle bocce, ancora oggi, non fa parte delle discipline olimpiche: sono certo che mi sarei tolto tante altre soddisfazioni!

Dante D'Alessandro insieme ai suoi adorati nipoti

Daniele Vallonchini Si distingue per la sua capacità di analisi degli eventi sportivi. È stato corrispondente per testate giornalistiche nazionali di rilievo. Sa condurre interviste incisive con atleti e dirigenti, riuscendo sempre a cogliere dettagli interessanti. La sua passione per lo sport e la sua vasta conoscenza in diversi ambiti sportivi sono una vera e propria garanzia per i lettori di Roseto24.it!