Da Milano a Roseto: lezioni di vita su una panchina
Me ne stavo tranquillamente seduto sulla "mia" panchina in Piazza della Repubblica, il luogo al centro di Roseto in cui ho trascorso gran parte della la mia infanzia. Su quella panchina, nel tardo pomeriggio, ogni tanto ritrovo me stesso e la mia tranquillità. L’aria era piacevole e io mi godevo quel momento senza fretta. Avevo in testa un groviglio di pensieri che giravano a vuoto, ma niente che valesse davvero la pena inseguire. A un certo punto, un uomo sulla settantina si è avvicinato.

"Posso?", mi ha chiesto indicando la panchina.
Ho fatto un cenno col capo, abbozzando un sorriso.
Si è seduto accanto a me, con una certa eleganza, di quelle che qui da noi vedi raramente.
La camicia ben stirata, i pantaloni con la piega, le scarpe lucide.
Ho pensato: “Sicuramente non è di qui”. Non appena ha aperto bocca, è arrivata la conferma.
"Sa che questa è proprio una bella piazza?", ha detto. Il suo accento milanese faceva sembrare ogni parola un po’ più pesante del dovuto.
L’ho guardato e, senza esitare, gli ho risposto: "L'ho sempre pensato anche io, ma ora che me lo dice lei, mi sembra addirittura più bella". Abbiamo sorriso entrambi. "Lei è da poco a Roseto, vero?".
"Sì", ha ammesso. "Mi sono trasferito da poco. Milano… Beh, a una certa età, diventa troppo veloce. Ho scelto Roseto per la pensione".
"E' vero, qui il tempo scorre più lentamente", gli ho detto. "A volte si ferma proprio, sa? Tipo questa piazza che diventa deserta dopo pranzo". Ho buttato lì una risata. "A Milano cosa faceva, se posso permettermi?"
"Lavoravo in banca", ha sussurrato, come se fosse una mezza confessione. "Quasi quarant’anni dietro una scrivania. Poi, un giorno, mi sono chiesto: 'Ma chi me lo fa fare?'. Ho venduto tutto e sono venuto qui. Il mare, il clima e pure un po’ di anonimato che non guasta mai".
"Milano - Roseto...", ho commentato scuotendo la testa. "Non è una scelta banale. I parenti e gli amici cosa le hanno detto? Che si era bevuto il cervello?".
Ha riso di gusto. "Più o meno. Ma sa cos’è stato decisivo? Qualche anno fa ero qui in vacanza e ho visto un pescatore. Era lì, da solo, con le sue reti. Non sembrava né ricco né preoccupato. Anzi, sembrava addirittura felice. E io ho pensato: voglio sentirmi come lui!".
Quel pescatore lo avevo visto anch’io mille volte, con quell'aria di uno che ha capito qualcosa che tanti altri, forse, non capiranno mai nella loro vita. "Già, qui siamo maestri nel far sembrare di avere tutto, anche quando non abbiamo niente. È un’arte anche questa...".
Da lì, la chiacchierata è andata avanti senza intoppi.
Lui raccontava la frenesia di Milano, io gli descrivevo la filosofia del “ci penso domani” che si respira a Roseto.
Gli parlavo di come qui il tempo lo misuri non con l’orologio, ma con la lunghezza delle chiacchiere che fai per strada.
Alla fine, si è alzato e mi ha guardato con un’aria che sembrava quasi grata.
"Sa una cosa? Qui sto imparando a godermi il tempo. E a fermarmi per scambiare due parole con chi incontro, come ho fatto stasera con lei".
Gli ho risposto scherzando: "E io stasera ho imparato che basta fermarsi un attimo a parlare con un milanese per ricordarsi quanto sia prezioso il nostro tempo".
L'ho guardato allontanarsi e poi mi sono incamminato anch'io verso casa, riflettendo su quello strano incontro, apparentemente casuale, eppure così denso di significato.
Un giorno, chissà, racconterò a quel milanese quanto quella breve conversazione su una panchina mi abbia lasciato dentro.
Ora che ci penso, non ci siamo nemmeno detti i nomi di battesimo...